Venezia
“Fie a manetta”. Così le ragazze di Venezia si riprendono la loro laguna
09/07/2021 Archiviato in: LiguriaNautica
Un'associazione tutta al femminile insegna alle donne della città lagunare come andare in barca a motore… a tutto gas!
"A manetta" per la laguna di Venezia!
Ma dove è scritto che il mondo dei motori debba essere appannaggio solo degli uomini? Eppure, perlomeno sino a qualche anno fa, era rarissimo imbattersi tra i canali di Venezia in una imbarcazione condotta da una mano femminile.
Nelle tradizionali gite domenicali per far picnic nelle isole o nelle barene lagunari, a guidare la barca era sempre il papà, col figlio maggiore accanto ad imparare come si conduceva lo scafo. Mamma e figlie se ne stavano spaparanzate verso prua, a prendere il sole e a gestire la borsa termica con le bibite e la merenda. Per imparare ad andare in barca autonomamente, una ragazza aveva solo due strade: la vela o il remo sportivo. Ma il motore no. Quella era “roba da uomini”.
“Ancora oggi, quando giro per canali con la mia barca a motore, mi capita che i trasportatori, che sono tutti uomini, mi guardino come una bestia rara – racconta a Liguria Nautica divertita Marta Canino – per non parlare dei consigli non richiesti o delle offerte di aiuto di cui non ho affatto bisogno. Ma ormai ho imparato a non dargli bada neppure di striscio. Basta una occhiataccia e scappano via”. Continua
"A manetta" per la laguna di Venezia!
Ma dove è scritto che il mondo dei motori debba essere appannaggio solo degli uomini? Eppure, perlomeno sino a qualche anno fa, era rarissimo imbattersi tra i canali di Venezia in una imbarcazione condotta da una mano femminile.
Nelle tradizionali gite domenicali per far picnic nelle isole o nelle barene lagunari, a guidare la barca era sempre il papà, col figlio maggiore accanto ad imparare come si conduceva lo scafo. Mamma e figlie se ne stavano spaparanzate verso prua, a prendere il sole e a gestire la borsa termica con le bibite e la merenda. Per imparare ad andare in barca autonomamente, una ragazza aveva solo due strade: la vela o il remo sportivo. Ma il motore no. Quella era “roba da uomini”.
“Ancora oggi, quando giro per canali con la mia barca a motore, mi capita che i trasportatori, che sono tutti uomini, mi guardino come una bestia rara – racconta a Liguria Nautica divertita Marta Canino – per non parlare dei consigli non richiesti o delle offerte di aiuto di cui non ho affatto bisogno. Ma ormai ho imparato a non dargli bada neppure di striscio. Basta una occhiataccia e scappano via”. Continua
La barca-violino di Venezia: fungerà da palco per i concerti in laguna
09/08/2021 Archiviato in: LiguriaNautica
L’artista Livio De Marchi ha realizzato una incredibile imbarcazione che fungerà da palco galleggiante per i concerti in laguna
La barca violino ai cantieri della Giudecca pronta per il varo
L’idea gli è venuta con lo scoppio della pandemia. Voleva realizzare qualcosa di bello da dedicare alla sua città, Venezia, come auspicio di una pronta rinascita. Qualcosa che fosse una raffigurazione di tutto ciò che la Città dei Dogi rappresenta nell’immaginario di ciascuno di noi. Qualcosa che coniugasse artisticamente musica, poesia e laguna. E’ nata così, nella vulcanica mente del mastro falegname Livio De Marchi, l’idea di realizzare una imbarcazione tutta speciale. Una imbarcazione con la forma di un violino.
La barca è stata realizzata in collaborazione con le maestranze del Consorzio Venezia Sviluppo, utilizzando tutte le varietà di legno adoperate per le tradizionali imbarcazione veneziane: abete, larice, tiglio, rovere, ciliegio e mogano. Il nome pensato dall’artista è “il Violino di Noè” con un evidente riferimento alla celebre arca che ha traghettato l’umanità verso un nuovo futuro, dopo la catastrofe di un diluvio paragonato alla pandemia. Continua
La barca violino ai cantieri della Giudecca pronta per il varo
L’idea gli è venuta con lo scoppio della pandemia. Voleva realizzare qualcosa di bello da dedicare alla sua città, Venezia, come auspicio di una pronta rinascita. Qualcosa che fosse una raffigurazione di tutto ciò che la Città dei Dogi rappresenta nell’immaginario di ciascuno di noi. Qualcosa che coniugasse artisticamente musica, poesia e laguna. E’ nata così, nella vulcanica mente del mastro falegname Livio De Marchi, l’idea di realizzare una imbarcazione tutta speciale. Una imbarcazione con la forma di un violino.
La barca è stata realizzata in collaborazione con le maestranze del Consorzio Venezia Sviluppo, utilizzando tutte le varietà di legno adoperate per le tradizionali imbarcazione veneziane: abete, larice, tiglio, rovere, ciliegio e mogano. Il nome pensato dall’artista è “il Violino di Noè” con un evidente riferimento alla celebre arca che ha traghettato l’umanità verso un nuovo futuro, dopo la catastrofe di un diluvio paragonato alla pandemia. Continua
Al Salone di Venezia presentata Stramba, la barca a vela senza albero e senza boma
07/06/2021 Archiviato in: LiguriaNautica
Siamo saliti sul veliero più "strambo" del mondo, dove tutte le manovre si giocano lungo la rotaia di una grande U rovesciata
La rivoluzionaria barca a vela Futura nata da una start up Stramba
Stramba di nome e di fatto. In effetti, la prima cosa che gli appassionati di vela in visita al Salone Nautico di Venezia hanno pensato, quando si sono trovati di fronte Futura è proprio “Che stramba!”. Anzi, diciamo meglio. Questa è la seconda cosa che hanno pensato. La prima è stata: “Ma quella roba là è proprio una barca a vela?”. Sì, sì. Non ha il boma, non ha un albero centrale, sostituito da una struttura ad U rovesciato, ed il pozzetto delle manovre sembra un tinello, ma per il resto è proprio una barca a vela.
Di quelle che si mettono in mare e vanno avanti solo se il vento le spinge. Ed è proprio quello che Daniele Mingucci, ideatore del progetto e dalla startup che lo ha lanciato,”Stramba”, spera di fare appena possibile. “La barca non è ancora rifinita – spiega Mignucci – abbiamo bruciato le tappe per presentarla al Salone di Venezia, ma contiamo di finire la velatura e di fare una prova in mare nel più breve tempo possibile. Ci sono ancora tante cosa da mettere a punto, ma direi che siamo sulla buona strada”. Continua
La rivoluzionaria barca a vela Futura nata da una start up Stramba
Stramba di nome e di fatto. In effetti, la prima cosa che gli appassionati di vela in visita al Salone Nautico di Venezia hanno pensato, quando si sono trovati di fronte Futura è proprio “Che stramba!”. Anzi, diciamo meglio. Questa è la seconda cosa che hanno pensato. La prima è stata: “Ma quella roba là è proprio una barca a vela?”. Sì, sì. Non ha il boma, non ha un albero centrale, sostituito da una struttura ad U rovesciato, ed il pozzetto delle manovre sembra un tinello, ma per il resto è proprio una barca a vela.
Di quelle che si mettono in mare e vanno avanti solo se il vento le spinge. Ed è proprio quello che Daniele Mingucci, ideatore del progetto e dalla startup che lo ha lanciato,”Stramba”, spera di fare appena possibile. “La barca non è ancora rifinita – spiega Mignucci – abbiamo bruciato le tappe per presentarla al Salone di Venezia, ma contiamo di finire la velatura e di fare una prova in mare nel più breve tempo possibile. Ci sono ancora tante cosa da mettere a punto, ma direi che siamo sulla buona strada”. Continua
Il “battello dei sogni” di Venezia: la casa sull’acqua della famiglia danese che sconfisse la burocrazia italiana
01/10/2020 Archiviato in: LiguriaNautica
Nell’isola della Giudecca una famiglia danese ha trasformato in casa un vaporetto di linea abbandonato
La prua del battello dei sogni trasformato in casa da una famiglia danese
Se lo cerchi non lo trovi. Neanche con Google Maps. Ci si arriva, per lo più, per sbaglio, perdendosi tra le calli e le fondamente della Giudecca. “Ma tu guarda! Un vaporetto della Linea 1″, ti vien da chiederti quando te lo trovi davanti. “Come avrà fatto a finire qua, incastrato su questo canale, così lontano dai consueti approdi di navigazione?”. Quando ci sei più vicino, ti accorgi che c’è qualcosa di strano. Di molto strano.
Il bottazzo è stato trasformato in una fioriera per i gerani. Agli oblò ed ai finestrini sono appese tendine colorate. Nel ponte di comando fa bella mostra di sé un accogliente divano con tavolino. Spinto dalla curiosità, ti avvicini alla passerella d’entrata, con tanto di tappetino per pulirti le suole, e subito capisci che la faccenda è ancora più strana di quel che potevi immaginare. Il battello ha un numero civico! Su un cartello in legno, inchiodato su una “bricola” di ormeggio, si legge: “399a”. Continua
La prua del battello dei sogni trasformato in casa da una famiglia danese
Se lo cerchi non lo trovi. Neanche con Google Maps. Ci si arriva, per lo più, per sbaglio, perdendosi tra le calli e le fondamente della Giudecca. “Ma tu guarda! Un vaporetto della Linea 1″, ti vien da chiederti quando te lo trovi davanti. “Come avrà fatto a finire qua, incastrato su questo canale, così lontano dai consueti approdi di navigazione?”. Quando ci sei più vicino, ti accorgi che c’è qualcosa di strano. Di molto strano.
Il bottazzo è stato trasformato in una fioriera per i gerani. Agli oblò ed ai finestrini sono appese tendine colorate. Nel ponte di comando fa bella mostra di sé un accogliente divano con tavolino. Spinto dalla curiosità, ti avvicini alla passerella d’entrata, con tanto di tappetino per pulirti le suole, e subito capisci che la faccenda è ancora più strana di quel che potevi immaginare. Il battello ha un numero civico! Su un cartello in legno, inchiodato su una “bricola” di ormeggio, si legge: “399a”. Continua
Nella Laguna di Venezia l’isola più “infestata” del mondo
03/04/2020 Archiviato in: LiguriaNautica
Spettri e presenza demoniache si aggirano di notte a Poveglia, nel cuore della laguna veneta. Ma è tutta colpa di una trasmissione americana
La maschera del dottore della peste. Il lungo becco serviva a tenere a distanza di sicurezza il malato mentre gli si esaminavano le piaghe
La mattina del 18 luglio del 2016, scorrendo le pagine di cronaca locale del Gazzettino e delle Nuova, i veneziani appresero, e non senza un certo sgomento, che l’isola più infestata da fantasmi e presenze demoniache di tutta la terra, se ne stava tranquilla e beata nel bel mezzo della loro laguna, a 15 minuti di voga da calli e campielli.
Proprio così. L’isolotto di Poveglia, ad un tiro di schioppo da Malamocco, era abitato da spaventosi spettri. Quell’isola disabitata dove tutti coloro che abitano in laguna vi sono sbarcati perlomeno una volta nella loro vita in compagnia di amici per grigliare branzini appena pescati o per saltare i “peoci” (come li chiamate in terraferma? Cozze, giusto?), beh… quell’isola dove hanno trascorso tante serate spensierate ad intonare canzonacce sotto la luna, è in realtà un mistico portale di comunicazione tra il nostro universo e quello dominato dalle potenze infernali. E la cosa più incredibile di tutta la faccenda è che tutto il mondo era a conoscenza di questa truce reputazione, tranne i… padroni di casa!
Ma cosa era successo di così tremendo da squarciare il velo del mistero, in quella fatidica notte? Era successo che un gruppo di cinque ragazzotti del Colorado armati di registratori ad alta sensibilità, macchine fotografiche con pellicole ad infrarossi e scanner capaci di rilevare ogni aura spiritistica, si era fatto portare da un tassista nostrano sull’isola, con il coraggiosissimo intento di passarci l’intera nottata, documentare le presenze ultraterrene e potersi poi vantare dell’intrepida impresa una volta tornati negli States. Continua
La maschera del dottore della peste. Il lungo becco serviva a tenere a distanza di sicurezza il malato mentre gli si esaminavano le piaghe
La mattina del 18 luglio del 2016, scorrendo le pagine di cronaca locale del Gazzettino e delle Nuova, i veneziani appresero, e non senza un certo sgomento, che l’isola più infestata da fantasmi e presenze demoniache di tutta la terra, se ne stava tranquilla e beata nel bel mezzo della loro laguna, a 15 minuti di voga da calli e campielli.
Proprio così. L’isolotto di Poveglia, ad un tiro di schioppo da Malamocco, era abitato da spaventosi spettri. Quell’isola disabitata dove tutti coloro che abitano in laguna vi sono sbarcati perlomeno una volta nella loro vita in compagnia di amici per grigliare branzini appena pescati o per saltare i “peoci” (come li chiamate in terraferma? Cozze, giusto?), beh… quell’isola dove hanno trascorso tante serate spensierate ad intonare canzonacce sotto la luna, è in realtà un mistico portale di comunicazione tra il nostro universo e quello dominato dalle potenze infernali. E la cosa più incredibile di tutta la faccenda è che tutto il mondo era a conoscenza di questa truce reputazione, tranne i… padroni di casa!
Ma cosa era successo di così tremendo da squarciare il velo del mistero, in quella fatidica notte? Era successo che un gruppo di cinque ragazzotti del Colorado armati di registratori ad alta sensibilità, macchine fotografiche con pellicole ad infrarossi e scanner capaci di rilevare ogni aura spiritistica, si era fatto portare da un tassista nostrano sull’isola, con il coraggiosissimo intento di passarci l’intera nottata, documentare le presenze ultraterrene e potersi poi vantare dell’intrepida impresa una volta tornati negli States. Continua
L’avventuroso viaggio di Pietro Querini, nobiluomo veneziano che partì per le Fiandre, naufragò in Norvegia e scoprì il baccalà – parte 3
20/03/2020 Archiviato in: LiguriaNautica
Il Capitano da Mar naufraga nell'arcipelago delle Lofoten, oltre il circolo polare artico, e viene soccorso dai generosi pescatori norvegesi
L'isola di Røst nell'arcipelago delle Lofoten, teatro del tragico naufragio di Pietro Querini
Approfittando di uno dei rari momenti in cui la tempesta smorzò il suo furore, i marinai veneziani calarono in mare le scialuppe di salvataggio e gli affidarono le loro vite. Due erano i battelli a disposizione. Su quello più piccolo salirono 21 uomini, 47 su quello più grande. Qui prese posto anche Pietro. Le imbarcazioni si sforzarono di procedere vicine, ma presto, il vento riprese a battere l’oceano. Dopo un solo giorno di navigazione, l’imbarcazione più piccola si perse dietro l’orizzonte di Pietro Querini.
Nulla ci è dato sapere sulla sorte dei suoi 21 marinai. Per i 47 uomini rimasti sulla scialuppa più grande cominciò la parte più tragica dell’avventura. Alcuni morirono assiderati dal freddo. Altri perché le provviste e le scorte di acqua terminarono presto, ed impazzirono al punto di bere l’acqua del mare. Venti giorni ancora durò il loro tormento, in balia delle onde, della fame, della sete, del vento gelido che soffiava sopra il circolo polare artico. Sino a che, all’improvviso, la tempesta si placò e un “suavissimo vento per greco (un vento da nord est. Ndr)”, scrive il Querini, spinse la scialuppa su un’isola sconosciuta. Continua
L'isola di Røst nell'arcipelago delle Lofoten, teatro del tragico naufragio di Pietro Querini
Approfittando di uno dei rari momenti in cui la tempesta smorzò il suo furore, i marinai veneziani calarono in mare le scialuppe di salvataggio e gli affidarono le loro vite. Due erano i battelli a disposizione. Su quello più piccolo salirono 21 uomini, 47 su quello più grande. Qui prese posto anche Pietro. Le imbarcazioni si sforzarono di procedere vicine, ma presto, il vento riprese a battere l’oceano. Dopo un solo giorno di navigazione, l’imbarcazione più piccola si perse dietro l’orizzonte di Pietro Querini.
Nulla ci è dato sapere sulla sorte dei suoi 21 marinai. Per i 47 uomini rimasti sulla scialuppa più grande cominciò la parte più tragica dell’avventura. Alcuni morirono assiderati dal freddo. Altri perché le provviste e le scorte di acqua terminarono presto, ed impazzirono al punto di bere l’acqua del mare. Venti giorni ancora durò il loro tormento, in balia delle onde, della fame, della sete, del vento gelido che soffiava sopra il circolo polare artico. Sino a che, all’improvviso, la tempesta si placò e un “suavissimo vento per greco (un vento da nord est. Ndr)”, scrive il Querini, spinse la scialuppa su un’isola sconosciuta. Continua
L’avventuroso viaggio di Pietro Querini, nobiluomo veneziano che partì per le Fiandre, naufragò in Norvegia e scoprì il baccalà – parte 2
07/03/2020 Archiviato in: LiguriaNautica
Il mercante salpa da Candia su una caracca con le stive piene di botti di Malvasia e spezie pregiate. Fa vela verso il porto di Anversa ma una terrificante tempesta disalbera la nave e la spinge sulle frastagliate coste norvegesi
La stele commemorativa del naufragio di Pietro Querini nell'isola di Røst
Il viaggiatore che si trovasse a passeggiare lungo la costa selvaggia dell’isola di Røst, che spazia su un mare in perenne burrasca tra stormi di chiassosi gabbiani, colonie di eleganti pulcinelle di mare ed imponenti cormorani in volo, rimarrebbe stupito nel trovarsi davanti ad una grande stele commemorativa. Difficile capirci qualcosa dalle scritte, a meno che il nostro viaggiatore non mastichi un po’ di norvegese, ma rimarrebbe senz’altro colpito nel leggere sopra una data, quella dell’anno domini 1432, il nome di un italiano: Pietro Querini.
La stele ricorda il naufragio nello scoglio di Sandoy, a poche miglia di distanza, della caracca Gemma Querina che batteva la bandiera rosso dorata della Serenissima Repubblica. L’altra data che si legge sulla stele è quelle del 1932, che è l’anno del cinquecentesimo anniversario del naufragio, durante il quale gli isolani vollero realizzare il monumento a perenne ricordo dell’avvenimento.
Siamo nell’arcipelago delle isole Lofoten, poco più di 50 miglia a ponente dalla costa norvegese. Come fu che una caracca veneziana venisse a naufragare proprio qui, in questi gelidi mari a nord del circolo polare artico, è una di quelle storie che vale la pena di leggere e raccontare.
La Gemma Querina, un vascello commerciale dalla stazza lorda di circa 700 tonnellate, era salpata dal porto di Candia, nome con cui era chiamata Creta ai tempi in cui era un possedimento veneziano, il 25 aprile del 1432. Il suo comandante ed armatore, Pietro Querini, commerciante, navigatore e patrizio veneziano con diritto a sedere nel Maggior Consiglio, l’aveva riempita di spezie, allume di rocca, cotone e soprattutto botti di pregiato vino Malvasia Continua
La stele commemorativa del naufragio di Pietro Querini nell'isola di Røst
Il viaggiatore che si trovasse a passeggiare lungo la costa selvaggia dell’isola di Røst, che spazia su un mare in perenne burrasca tra stormi di chiassosi gabbiani, colonie di eleganti pulcinelle di mare ed imponenti cormorani in volo, rimarrebbe stupito nel trovarsi davanti ad una grande stele commemorativa. Difficile capirci qualcosa dalle scritte, a meno che il nostro viaggiatore non mastichi un po’ di norvegese, ma rimarrebbe senz’altro colpito nel leggere sopra una data, quella dell’anno domini 1432, il nome di un italiano: Pietro Querini.
La stele ricorda il naufragio nello scoglio di Sandoy, a poche miglia di distanza, della caracca Gemma Querina che batteva la bandiera rosso dorata della Serenissima Repubblica. L’altra data che si legge sulla stele è quelle del 1932, che è l’anno del cinquecentesimo anniversario del naufragio, durante il quale gli isolani vollero realizzare il monumento a perenne ricordo dell’avvenimento.
Siamo nell’arcipelago delle isole Lofoten, poco più di 50 miglia a ponente dalla costa norvegese. Come fu che una caracca veneziana venisse a naufragare proprio qui, in questi gelidi mari a nord del circolo polare artico, è una di quelle storie che vale la pena di leggere e raccontare.
La Gemma Querina, un vascello commerciale dalla stazza lorda di circa 700 tonnellate, era salpata dal porto di Candia, nome con cui era chiamata Creta ai tempi in cui era un possedimento veneziano, il 25 aprile del 1432. Il suo comandante ed armatore, Pietro Querini, commerciante, navigatore e patrizio veneziano con diritto a sedere nel Maggior Consiglio, l’aveva riempita di spezie, allume di rocca, cotone e soprattutto botti di pregiato vino Malvasia Continua
L’avventuroso viaggio di Pietro Querini, nobiluomo veneziano che partì per le Fiandre, naufragò in Norvegia e scoprì il baccalà – parte 1
07/03/2020 Archiviato in: LiguriaNautica
Nell’aprile del 1431, la caracca Gemma Querina salpa da Creta per far rotta verso la Fiandre ma le tempeste la trascineranno ben oltre il circolo polare artico in uno dei più avventurosi viaggi del secolo
Pietro Querini in un quadro dell'epoca
“Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte… gli isolani, un centinaio di pescatori, si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere…vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce”. Così, Pietro delle nobile e dogata famiglia dei Querini descriveva agli attoniti senatori della Serenissima quella strana e lontana isola in cui aveva fatto naufragio.
Un’isola, narrava, in cui la notte durava 22 ore e faceva talmente freddo che, al confronto, l’inverno a Venezia, pare un’estate. L’isola in questione era quella di Sandoy, nell’arcipelago norvegese delle isole Loften, sopra il Circolo Polare Artico. Pietro che non parlava una sola parola di norvegese, tradusse artigianalmente il nome con “isola dei Santi”. Perché, sosteneva, ci doveva essere voluta l’intercessione di tutti i Santi del paradiso per farcelo arrivare vivo sin là!
Non sappiamo se i serenissimi senatori abbiano prestato fede al’incredibile racconto del nostro viaggiatore o se l’abbiano preso per un altro conta balle del calibro di Marco Polo. Di sicuro è che, da mercanti navigati quali erano tutti, devono aver rizzato le orecchie quando il Querini ha cominciato a raccontare di quegli strani pesci che gli isolani chiamavano stocfisi, “duri come il legno”, e che si conservava più a lungo di qualsiasi altra pietanza allora conosciuta. Continua
Pietro Querini in un quadro dell'epoca
“Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte… gli isolani, un centinaio di pescatori, si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere…vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce”. Così, Pietro delle nobile e dogata famiglia dei Querini descriveva agli attoniti senatori della Serenissima quella strana e lontana isola in cui aveva fatto naufragio.
Un’isola, narrava, in cui la notte durava 22 ore e faceva talmente freddo che, al confronto, l’inverno a Venezia, pare un’estate. L’isola in questione era quella di Sandoy, nell’arcipelago norvegese delle isole Loften, sopra il Circolo Polare Artico. Pietro che non parlava una sola parola di norvegese, tradusse artigianalmente il nome con “isola dei Santi”. Perché, sosteneva, ci doveva essere voluta l’intercessione di tutti i Santi del paradiso per farcelo arrivare vivo sin là!
Non sappiamo se i serenissimi senatori abbiano prestato fede al’incredibile racconto del nostro viaggiatore o se l’abbiano preso per un altro conta balle del calibro di Marco Polo. Di sicuro è che, da mercanti navigati quali erano tutti, devono aver rizzato le orecchie quando il Querini ha cominciato a raccontare di quegli strani pesci che gli isolani chiamavano stocfisi, “duri come il legno”, e che si conservava più a lungo di qualsiasi altra pietanza allora conosciuta. Continua
Al via il Salone Nautico di Venezia nell’antico Arsenale: un palcoscenico unico per yacht, accessori e motori
12/06/2019 Archiviato in: LiguriaNautica
Uno bacino acqueo di 50 mila metri quadri per le imbarcazioni e un chilometro di banchina. Tante iniziative collaterali tra le quali uno spazio per la cantieristica tradizionale veneziana
Il bacino acqueo dell'Arsenale di Venezia
“L’arte navale torna a casa”. E’ lo slogan del Salone Nautico di Venezia in programma fino a domenica 23 giugno nella città lagunare. La “casa” in questione è il grande bacino dell’Arsenale. Storica fucina di galee e cocche che negli anni d’oro della Serenissima, era in grado di mettere in acqua una nave da guerra al giorno, completa di vele e attrezzature, pronta per navigare. Quell’arsenale che tanto colpì Dante Alighieri che volle paragonarlo al girone infernale in cui sono puniti i barattieri: “Quale nell’arzanà de’ Viniziani bolle d’inverno la tenace pece”. Continua
Il bacino acqueo dell'Arsenale di Venezia
“L’arte navale torna a casa”. E’ lo slogan del Salone Nautico di Venezia in programma fino a domenica 23 giugno nella città lagunare. La “casa” in questione è il grande bacino dell’Arsenale. Storica fucina di galee e cocche che negli anni d’oro della Serenissima, era in grado di mettere in acqua una nave da guerra al giorno, completa di vele e attrezzature, pronta per navigare. Quell’arsenale che tanto colpì Dante Alighieri che volle paragonarlo al girone infernale in cui sono puniti i barattieri: “Quale nell’arzanà de’ Viniziani bolle d’inverno la tenace pece”. Continua
A Venezia la Msc Opera travolge un battello e si schianta sulla banchina: si riapre il dibattito sulle grandi navi in laguna
03/06/2019 Archiviato in: LiguriaNautica
Paura e panico tra i passeggeri e le persone sulla riva. Tre feriti e tante polemiche. Gli ambientalisti: "Da anni denunciamo l'incompatibilità di navi di queste dimensioni con la laguna"
I danni causati dalla nave Opera al battello fluviale
Un incidente annunciato, quello verificatosi alle ore 8,34 di domenica nel porto di Venezia. La Msc Opera – 56 mila tonnellate – procedeva nel canale della Giudecca, appena dopo il bacino di piazza San Marco, alla velocità sostenuto di 5,5 nodi e si stava preparando per attraccare alle banchina, quando un improvviso black out dei comandi (stando perlomeno alla prima ricostruzione dell’incidente) non ha consentito alla nave di manovrare e di ridurre la velocità. Inutile l’intervento del rimorchiatore di sicurezza, perché il forte abbrivio ha spezzato la gomena di traino e la grande nave da crociera è andata a schiantarsi tra la banchina e un battello fluviale ormeggiato sul pontile di San Basilio.
Attimi di paura tra i 110 passeggeri a bordo della lancia e tra le persone che attendevano in riva l’arrivo della nave. I video messi in rete dai testimoni sono davvero impressionanti, considerata la mole enorme della Msc Opera, un “bestione” lungo 275 metri, largo 32 e capace di trasportare circa 2.679 ospiti e 728 membri dell’equipaggio. Per fortuna, l’abbordo si è concluso con tanta paura, la caduta in acqua di diverse persone ma “solo” tre feriti. Poteva andare molto peggio.
Un incidente annunciato, abbiamo scritto in apertura, perché da quasi dieci anni gli ambientalisti di Venezia denunciano l’intrinseca pericolosità del transito di navi superiori alle 50 tonnellate, costruite per navigare in alto mare, in canali stretti e poco profondi come quelli lagunari. Senza tener conto di incidenti come questo, che nel lungo periodo possiamo considerare inevitabili, bisogna considerare anche fattori non affatto secondari come l’inquinamento atmosferico (il porto di Venezia è a ridosso della città storica e nelle calli si registrano più polveri sottili che a ridosso di un’autostrada a due corsie). Continua
I danni causati dalla nave Opera al battello fluviale
Un incidente annunciato, quello verificatosi alle ore 8,34 di domenica nel porto di Venezia. La Msc Opera – 56 mila tonnellate – procedeva nel canale della Giudecca, appena dopo il bacino di piazza San Marco, alla velocità sostenuto di 5,5 nodi e si stava preparando per attraccare alle banchina, quando un improvviso black out dei comandi (stando perlomeno alla prima ricostruzione dell’incidente) non ha consentito alla nave di manovrare e di ridurre la velocità. Inutile l’intervento del rimorchiatore di sicurezza, perché il forte abbrivio ha spezzato la gomena di traino e la grande nave da crociera è andata a schiantarsi tra la banchina e un battello fluviale ormeggiato sul pontile di San Basilio.
Attimi di paura tra i 110 passeggeri a bordo della lancia e tra le persone che attendevano in riva l’arrivo della nave. I video messi in rete dai testimoni sono davvero impressionanti, considerata la mole enorme della Msc Opera, un “bestione” lungo 275 metri, largo 32 e capace di trasportare circa 2.679 ospiti e 728 membri dell’equipaggio. Per fortuna, l’abbordo si è concluso con tanta paura, la caduta in acqua di diverse persone ma “solo” tre feriti. Poteva andare molto peggio.
Un incidente annunciato, abbiamo scritto in apertura, perché da quasi dieci anni gli ambientalisti di Venezia denunciano l’intrinseca pericolosità del transito di navi superiori alle 50 tonnellate, costruite per navigare in alto mare, in canali stretti e poco profondi come quelli lagunari. Senza tener conto di incidenti come questo, che nel lungo periodo possiamo considerare inevitabili, bisogna considerare anche fattori non affatto secondari come l’inquinamento atmosferico (il porto di Venezia è a ridosso della città storica e nelle calli si registrano più polveri sottili che a ridosso di un’autostrada a due corsie). Continua
La compagnia I Venturieri festeggia il suo trentennale con un raduno di vele storiche a Venezia
28/05/2018 Archiviato in: LiguriaNautica
Il ketch bermudiano Croix Du Sud, il cutter aurico in legno S. Maria di Nicopeja, tanti Arpège varati negli anni '60 sono alcune delle imbarcazioni a vela che si sono radunate in Laguna per una regata non competitiva
Raduno di vele d'epoca a Venezia organizzato da I Venturieri
Scritto per LiguriaNautica - Uno spettacolo davvero superbo e, per di più, andato in scena in un palcoscenico d’eccezione come il bacino di San Marco, tra palazzo Ducale e l’isola di San Giorgio. Decine e decine di velieri d’epoca a vele spiegate che dal Lido si dirigevano alla marina di Sant’Elena e all’Arsenale. Una grande festa della vela storica e delle imbarcazioni tradizionali, quella che si è svolta nella laguna di Venezia sabato 26 e domenica 27 maggio. Continua
Raduno di vele d'epoca a Venezia organizzato da I Venturieri
Scritto per LiguriaNautica - Uno spettacolo davvero superbo e, per di più, andato in scena in un palcoscenico d’eccezione come il bacino di San Marco, tra palazzo Ducale e l’isola di San Giorgio. Decine e decine di velieri d’epoca a vele spiegate che dal Lido si dirigevano alla marina di Sant’Elena e all’Arsenale. Una grande festa della vela storica e delle imbarcazioni tradizionali, quella che si è svolta nella laguna di Venezia sabato 26 e domenica 27 maggio. Continua
La Vogalonga di Venezia: la più grande manifestazione al mondo dedicata alle barche a remi
21/05/2018 Archiviato in: LiguriaNautica
Si è svolta in laguna la 44esima edizione della regata riservata alle imbarcazioni a remi. Più di 2300 barche per 8300 partecipanti da tutto il mondo hanno sfilato nel Canal Grande
Vogalonga 2018. L'entrata a Venezia nel canal di Cannaregio
Scritto per LiguriaNautica - Colpo di cannone, remi puntati al cielo e un grande urlo collettivo: “Viva Venezia, viva San Marco!”. E si parte. Lo sfondo della Basilica e del Palazzo Ducale lascia presto spazio alle barene e alle verdi isole della laguna nord. Le barche sfiorano le Vignole e costeggiano tutto il lato interno di Sant’Erasmo, l’orto di Venezia. Poi raggiungono San Francesco del Deserto, dove il santo di Assisi fece tappa al suo ritorno dalla Terrasanta, placando con le sue preghiere una violenta tempesta.
Quindi la prua volge verso gli sgargianti colori delle case di Burano, l’isola del merletto, che già appaiono in lontananza. Lasciano a nord Torcello e, dopo Mazzorbo, si infilano nel Canal Bisatto, zigzagando tra le piccole isole di San Giacomo in Paludo e Madonna del Monte che, nel corso della loro millenaria storia, furono sia eremi monacali che depositi militari. Finalmente all’orizzonte ricompare Venezia, ma prima bisogna attraversare il canale di Murano, la cui gente attende festosa l’arrivo del corteo acqueo. Continua
Vogalonga 2018. L'entrata a Venezia nel canal di Cannaregio
Scritto per LiguriaNautica - Colpo di cannone, remi puntati al cielo e un grande urlo collettivo: “Viva Venezia, viva San Marco!”. E si parte. Lo sfondo della Basilica e del Palazzo Ducale lascia presto spazio alle barene e alle verdi isole della laguna nord. Le barche sfiorano le Vignole e costeggiano tutto il lato interno di Sant’Erasmo, l’orto di Venezia. Poi raggiungono San Francesco del Deserto, dove il santo di Assisi fece tappa al suo ritorno dalla Terrasanta, placando con le sue preghiere una violenta tempesta.
Quindi la prua volge verso gli sgargianti colori delle case di Burano, l’isola del merletto, che già appaiono in lontananza. Lasciano a nord Torcello e, dopo Mazzorbo, si infilano nel Canal Bisatto, zigzagando tra le piccole isole di San Giacomo in Paludo e Madonna del Monte che, nel corso della loro millenaria storia, furono sia eremi monacali che depositi militari. Finalmente all’orizzonte ricompare Venezia, ma prima bisogna attraversare il canale di Murano, la cui gente attende festosa l’arrivo del corteo acqueo. Continua
Da Cervia a Venezia lungo la Rotta del Sale per rinnovare un’antica alleanza marinara
25/04/2018 Archiviato in: LiguriaNautica
La tradizione vuole che ogni estate decine di imbarcazioni al terzo salpino dal porto di Romagna per raggiungere la Serenissima e portare in omaggio un carico di oro bianco
Sulla Rotta del Sale, da Cervia a Venezia su vele al terzo.
Scritto per LiguriaNautica - Sin dalla fine del XII secolo la rotta che collegava Venezia a Cervia divenne una delle principali arterie commerciali marittime dell’Adriatico. Sulle loro tipiche imbarcazioni armate al terzo, i marinai cervesi salivano a nord per riempire i magazzini della Repubblica Serenissima con i loro carichi di prezioso sale. Alimento indispensabile, oltre che per insaporire i cibi, anche per conservare le provviste a bordo e consentire alle galee veneziane di salpare per lunghi viaggi sino ai porti d’Oriente o ai gelidi mari del Nord Europa.
Non è un sale qualsiasi, quello di Cervia, che viene ricavato filtrando l’acqua marina in quella che è la salina più a nord della nostra penisola. E’ un sale dolce, purissimo, ad altissima solubilità, non filtrato artificialmente. Un sale dal sapore inconfondibile, leggermente speziato e tendente all’amarognolo, che tutt’ora viene prodotto in quantità limitata, secondo antichi procedimenti, non essiccato, non sbiancato. Continua
Sulla Rotta del Sale, da Cervia a Venezia su vele al terzo.
Scritto per LiguriaNautica - Sin dalla fine del XII secolo la rotta che collegava Venezia a Cervia divenne una delle principali arterie commerciali marittime dell’Adriatico. Sulle loro tipiche imbarcazioni armate al terzo, i marinai cervesi salivano a nord per riempire i magazzini della Repubblica Serenissima con i loro carichi di prezioso sale. Alimento indispensabile, oltre che per insaporire i cibi, anche per conservare le provviste a bordo e consentire alle galee veneziane di salpare per lunghi viaggi sino ai porti d’Oriente o ai gelidi mari del Nord Europa.
Non è un sale qualsiasi, quello di Cervia, che viene ricavato filtrando l’acqua marina in quella che è la salina più a nord della nostra penisola. E’ un sale dolce, purissimo, ad altissima solubilità, non filtrato artificialmente. Un sale dal sapore inconfondibile, leggermente speziato e tendente all’amarognolo, che tutt’ora viene prodotto in quantità limitata, secondo antichi procedimenti, non essiccato, non sbiancato. Continua
Il "saor": più che un piatto, una tradizione della Venezia marinara
15/12/2017 Archiviato in: LiguriaNautica
Si può fare con le sarde ma anche con i gamberoni e i filetti di pesce. Questo tipico condimento dell'alto Adriatico regala a tutte le pietanze un inconfondibile sapore agrodolce
Un tipico piatto dei marinai della Serenissima
Scritto per LiguriaNautica - Giuseppe “Bepo” Maffioli lo definiva “il vero cibo dei marinai”. Il celebre gastronomo veneto -nonché scrittore, attore e tanto altro ancora- che era uno che di buona tavola se ne intendeva, aggiungeva: “nonché scorta indispensabile per marinai di terraferma”.
Stiamo parlando del “saor“. Un piatto che è una autentica tradizione a Venezia ma anche Pellestrina, Chioggia e negli altri porti dell’Adriatico settentrionale. Una tradizione che nasce da lontano, da quando le navi della Serenissima Repubblica solcavano le rotte mediterranee dirette ai porti d’Oriente ed i marinai veneziani avevano necessità di imbarcare viveri che fossero allo stesso tempo sostanziosi e di lunga conservazione.
I celebri “baicoli“, i biscotti dolci e secchi dei dogi che ancora si consumano nella città lagunare, ne sono un esempio. Ma il monarca dei piatti tradizionali da barca resta sempre lui: il saor. Termine che in dialetto veneziano significa “sapore”. Le ricetta, come tutti i piatti tradizionali, è molto semplice e povera ma, sempre come tutti i piatti tradizionali, non per questo meno saporita. Continua
Un tipico piatto dei marinai della Serenissima
Scritto per LiguriaNautica - Giuseppe “Bepo” Maffioli lo definiva “il vero cibo dei marinai”. Il celebre gastronomo veneto -nonché scrittore, attore e tanto altro ancora- che era uno che di buona tavola se ne intendeva, aggiungeva: “nonché scorta indispensabile per marinai di terraferma”.
Stiamo parlando del “saor“. Un piatto che è una autentica tradizione a Venezia ma anche Pellestrina, Chioggia e negli altri porti dell’Adriatico settentrionale. Una tradizione che nasce da lontano, da quando le navi della Serenissima Repubblica solcavano le rotte mediterranee dirette ai porti d’Oriente ed i marinai veneziani avevano necessità di imbarcare viveri che fossero allo stesso tempo sostanziosi e di lunga conservazione.
I celebri “baicoli“, i biscotti dolci e secchi dei dogi che ancora si consumano nella città lagunare, ne sono un esempio. Ma il monarca dei piatti tradizionali da barca resta sempre lui: il saor. Termine che in dialetto veneziano significa “sapore”. Le ricetta, come tutti i piatti tradizionali, è molto semplice e povera ma, sempre come tutti i piatti tradizionali, non per questo meno saporita. Continua
Ecco le foto vincitrici del premio Città di Venezia di fotografia subacquea promosso da Abissi
11/10/2017 Archiviato in: LiguriaNautica
Al concorso promosso dall'associazione Abissi hanno partecipato i migliori fotosub di tutto il mondo
Scritto per LiguriaNautica - Immagini che tolgono il fiato. Vien solo da domandarsi come ha fatto la giuria a scegliere le più belle. La decima edizione del premio Città di Venezia sul tema BioPhotography ha confermato l’altissimo livello di professionalità dei tanti partecipanti a questo concorso di fotografia subacquea che nei suoi dieci anni di vita si è via via imposto sul palcoscenico europeo come uno dei più prestigiosi del settore.
Ma non sprecherò altre parole per descrivere le stupefacenti foto selezionate come vincitrici nelle 12 categorie, rimandando il lettore alla galleria che troverà in fondo alla pagina. Continua
Scritto per LiguriaNautica - Immagini che tolgono il fiato. Vien solo da domandarsi come ha fatto la giuria a scegliere le più belle. La decima edizione del premio Città di Venezia sul tema BioPhotography ha confermato l’altissimo livello di professionalità dei tanti partecipanti a questo concorso di fotografia subacquea che nei suoi dieci anni di vita si è via via imposto sul palcoscenico europeo come uno dei più prestigiosi del settore.
Ma non sprecherò altre parole per descrivere le stupefacenti foto selezionate come vincitrici nelle 12 categorie, rimandando il lettore alla galleria che troverà in fondo alla pagina. Continua
Abissi lancia la decima edizione del premio Città di Venezia di fotografia subacquea
06/09/2017 Archiviato in: LiguriaNautica
La passione per la reflex e l'amore per le immersioni hanno un unico comune denominatore: il concorso fotografico dell'Underwater Photo Venice
Scritto per LiguriaNautica - Gli appassionati di fotografia subacquea hanno tempo sino a mercoledì 20 settembre per partecipare al prestigioso concorso internazionale Città di Venezia, proposto dall’associazione culturale Abissi Underwater Photo Venice.
Il premio è arrivato alla sua decima edizione raccogliendo di anno in anno sempre maggiori successi di pubblico e di critica. Continua
Scritto per LiguriaNautica - Gli appassionati di fotografia subacquea hanno tempo sino a mercoledì 20 settembre per partecipare al prestigioso concorso internazionale Città di Venezia, proposto dall’associazione culturale Abissi Underwater Photo Venice.
Il premio è arrivato alla sua decima edizione raccogliendo di anno in anno sempre maggiori successi di pubblico e di critica. Continua
Le chiamano "tegnue"
18/07/2010 Archiviato in: Altro
Le più belle son grandi come un campo di calcio e sono caratterizzate da merlettature rocciose alte anche tre o quattro metri. Ma se ne trovano anche grandi pochi metri quadrati: sorte di semplici “lastrure” (lastroni) poggiate sul fondale sabbioso. Ma le tegnue non sono solo il paradiso sommerso del biologo marino che vi trova concentrate tutte le specie che popolano l’Adriatico. Le tegnue sono anche la terra di frontiera dell’archeologo subacqueo che non di rado vi scopre tesori archeologici come i resti di una naufragio d’epoca romana, un’antica ancora ammiragliato, brigantini dell’ottocento o anche resti di aerei della seconda guerra mondiale.
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Quell'universo sotto il mare
21/07/2010 Archiviato in: Altro
Tutto cominciò con una città che non esisteva e con dei lugubri rintocchi di campana che, nelle notti di luna piena, salivano dal fondo del mare terrorizzando gli increduli marinai.
Era l’estate di quarant’anni fa e tra i pescatori di Chioggia e di Pellestrina si vociferano cupi leggende di morti senza pace le cui anime dannate vagano nel fondo del mare. Sono le anime degli abitanti di Metamauco, sussurravano i pescatori, la città perduta e sprofondata nel mare tanti e tanti anni or sono, che ancora tormentano i vivi per testimoniare la loro tragedia.
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