Le “navi gialle” che rimasero bloccate nel canale di Suez per 8 anni
31/03/2021 Archiviato in: LiguriaNautica
Durante la Guerra dei Sei Giorni quindici navi mercantili furono intrappolate nel canale e... organizzarono le Olimpiadi del Lago Amaro
Una delle navi che rimasero bloccate nel Lago Amaro di Suez per otto anni (foto tratta da un video di Al Jazeera)
Le chiamavano le “navi gialle” per via della sabbia del deserto che si depositava sui ponti e che solo il vento, di tanto in tanto, spazzava. Quattro battevano bandiera britannica, le altre appartenevano alle marine mercatili di Svezia, Germania, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Usa e Francia. Quindici grandi navi mercantili, tutte bloccate nel bel mezzo del canale di Suez. E… no, non avevano compiuto una manovra sbagliata, come l’ormai celeberrima Ever Given! La colpa, quella volta, era tutta della guerra. Quella che passerà alla storia come la Guerra dei Sei Giorni e che ebbe come conseguenza la nascita dello Stato di Israele.
E se nel caso della moderna portacontainer il blocco è durato “appena” una settimana, le “navi gialle” dovettero attendere la bellezza di otto anni prima di poter finalmente riaccendere i motori, salpare l’ancora e fare prua verso il Mediterraneo. La vicenda, che i più avevano oramai dimenticato, è stata ricordata dal giornalista Ferdinando Cotugno in un suo tweet: “Se vi siete appassionati ai fatti del canale di Suez, sappiate che nel 1967, quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni, l’Egitto lo chiuse e le navi che erano dentro furono bloccate“.
Il conflitto scoppiò il 5 giugno del 1967, quando una coalizione di Paesi arabi attaccò improvvisamente il neo costituito Stato di Israele. Doveva essere una vittoria facile ed invece l’esercito israeliano non solo respinse gli attacchi ma marciò nella penisola del Sinai, arrivando quasi a conquistare il canale di Suez. L’allora presidente egiziano, il colonnello Gamal Nasser, decise di chiudere il canale che mette in comunicazione il Mar Rosso con il bacino Mediterraneo, affondando vecchie navi e seminando bombe per evitare di lasciare al nemico il controllo di quell’importante area strategica. E così, le navi che lo stavano attraversando rimasero chiuse dentro.
La fine della guerra dei Sei Giorni vide la sponda orientale del canale pattugliata dall’esercito israeliano e quella occidentale da quello egiziano. Tra i due Paesi, lo stato di guerra continuò sino alla pace di Camp David, nel 1979. L’accordo per liberare le navi e riaprire Suez al traffico arrivò un po’ prima, ma per ben otto anni le “navi gialle” dovettero rimane alla fonda, a farsi colorare di giallo dalla sabbia che il vento sollevava dalle dune del deserto.
La Nordwind e la Münsterland fotografate ad Amburgo a maggio del 1975 (AP Photo). I due carghi tedeschi furono gli unici che riuscitrono a ripartire. Al loro rientro in Germania trovarono una immensa folla ad accoglierli.
Superata la fase più cruenta della guerra, che i marinai osservarono dai ponti delle loro navi come in un futuristico cinema a 3D, la Croce Rossa intervenne istituendo un ponte aereo tra El Cairo ed Atene. Qualche marinaio riuscì in questo modo a tornare a casa, ma i più, considerati essenziali per il funzionamento della nave, dovettero rassegnarsi a rimanere a bordo. Gli armatori predisposero qualche cambio di personale. Nessun marinaio rimase tutti gli otto anni in una di quelle navi alla fonda, ma molti di loro trascorsero comunque cinque o anche sei anni in quella situazione assurda.
Assurda e anche pericolosa, perché nel frattempo scoppiò un’altra guerra, quella dello Yom Kippur, nel 1973, e una delle due navi statunitensi fu colpita per errore da un missile israeliano ed affondò. Ma il vero pericolo rimanevano la noia e l’apatia. Così i marinai si ingegnarono per trovare qualche modo di passare il tempo e si riunirono nella Grande Associazione del Lago Amaro – il nome del bacino in cui erano ormeggiate le navi – con la quale organizzarono partite di calcio nei ponti, tornei di carte e di altri giochi come scacchi e backgammon, corsi di aggiornamento professionale, proiezione di film, feste ed anche gare di scii d’acqua. Non mancò neppure un’edizione delle Olimpiadi del lago Amaro, disputata tra gli equipaggi dei quindici mercantili.
Per creare una atmosfera di comunità tra gli equipaggi bloccati nel canale, i marinai stamparono anche dei francobolli per la comunicazione interna, senza nessun valore per le poste ordinarie perché nessun Paese riconosceva questa emissione, ma che oggi vanno a ruba tra i collezionisti.
QuandoEgitto ed Israele, su forti pressioni internazionali, decisero che il canale poteva venire riaperto al traffico, ci volle comunque un anno per rimuovere gli ostacoli lasciati dalla guerra e renderlo percorribile dalle navi. Ma ormai, a parte i due carghi tedeschi, le altre navi gialle non erano più in grado di prendere il mare in autonomia e dovettero essere trainate. Proprio come è accaduto oggi alla Ever Given.
Una delle navi che rimasero bloccate nel Lago Amaro di Suez per otto anni (foto tratta da un video di Al Jazeera)
Le chiamavano le “navi gialle” per via della sabbia del deserto che si depositava sui ponti e che solo il vento, di tanto in tanto, spazzava. Quattro battevano bandiera britannica, le altre appartenevano alle marine mercatili di Svezia, Germania, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Usa e Francia. Quindici grandi navi mercantili, tutte bloccate nel bel mezzo del canale di Suez. E… no, non avevano compiuto una manovra sbagliata, come l’ormai celeberrima Ever Given! La colpa, quella volta, era tutta della guerra. Quella che passerà alla storia come la Guerra dei Sei Giorni e che ebbe come conseguenza la nascita dello Stato di Israele.
E se nel caso della moderna portacontainer il blocco è durato “appena” una settimana, le “navi gialle” dovettero attendere la bellezza di otto anni prima di poter finalmente riaccendere i motori, salpare l’ancora e fare prua verso il Mediterraneo. La vicenda, che i più avevano oramai dimenticato, è stata ricordata dal giornalista Ferdinando Cotugno in un suo tweet: “Se vi siete appassionati ai fatti del canale di Suez, sappiate che nel 1967, quando scoppiò la Guerra dei Sei Giorni, l’Egitto lo chiuse e le navi che erano dentro furono bloccate“.
Il conflitto scoppiò il 5 giugno del 1967, quando una coalizione di Paesi arabi attaccò improvvisamente il neo costituito Stato di Israele. Doveva essere una vittoria facile ed invece l’esercito israeliano non solo respinse gli attacchi ma marciò nella penisola del Sinai, arrivando quasi a conquistare il canale di Suez. L’allora presidente egiziano, il colonnello Gamal Nasser, decise di chiudere il canale che mette in comunicazione il Mar Rosso con il bacino Mediterraneo, affondando vecchie navi e seminando bombe per evitare di lasciare al nemico il controllo di quell’importante area strategica. E così, le navi che lo stavano attraversando rimasero chiuse dentro.
La fine della guerra dei Sei Giorni vide la sponda orientale del canale pattugliata dall’esercito israeliano e quella occidentale da quello egiziano. Tra i due Paesi, lo stato di guerra continuò sino alla pace di Camp David, nel 1979. L’accordo per liberare le navi e riaprire Suez al traffico arrivò un po’ prima, ma per ben otto anni le “navi gialle” dovettero rimane alla fonda, a farsi colorare di giallo dalla sabbia che il vento sollevava dalle dune del deserto.
La Nordwind e la Münsterland fotografate ad Amburgo a maggio del 1975 (AP Photo). I due carghi tedeschi furono gli unici che riuscitrono a ripartire. Al loro rientro in Germania trovarono una immensa folla ad accoglierli.
Superata la fase più cruenta della guerra, che i marinai osservarono dai ponti delle loro navi come in un futuristico cinema a 3D, la Croce Rossa intervenne istituendo un ponte aereo tra El Cairo ed Atene. Qualche marinaio riuscì in questo modo a tornare a casa, ma i più, considerati essenziali per il funzionamento della nave, dovettero rassegnarsi a rimanere a bordo. Gli armatori predisposero qualche cambio di personale. Nessun marinaio rimase tutti gli otto anni in una di quelle navi alla fonda, ma molti di loro trascorsero comunque cinque o anche sei anni in quella situazione assurda.
Assurda e anche pericolosa, perché nel frattempo scoppiò un’altra guerra, quella dello Yom Kippur, nel 1973, e una delle due navi statunitensi fu colpita per errore da un missile israeliano ed affondò. Ma il vero pericolo rimanevano la noia e l’apatia. Così i marinai si ingegnarono per trovare qualche modo di passare il tempo e si riunirono nella Grande Associazione del Lago Amaro – il nome del bacino in cui erano ormeggiate le navi – con la quale organizzarono partite di calcio nei ponti, tornei di carte e di altri giochi come scacchi e backgammon, corsi di aggiornamento professionale, proiezione di film, feste ed anche gare di scii d’acqua. Non mancò neppure un’edizione delle Olimpiadi del lago Amaro, disputata tra gli equipaggi dei quindici mercantili.
Per creare una atmosfera di comunità tra gli equipaggi bloccati nel canale, i marinai stamparono anche dei francobolli per la comunicazione interna, senza nessun valore per le poste ordinarie perché nessun Paese riconosceva questa emissione, ma che oggi vanno a ruba tra i collezionisti.
QuandoEgitto ed Israele, su forti pressioni internazionali, decisero che il canale poteva venire riaperto al traffico, ci volle comunque un anno per rimuovere gli ostacoli lasciati dalla guerra e renderlo percorribile dalle navi. Ma ormai, a parte i due carghi tedeschi, le altre navi gialle non erano più in grado di prendere il mare in autonomia e dovettero essere trainate. Proprio come è accaduto oggi alla Ever Given.