Missione “Re d’Italia” e “Palestro”: la tragica storia delle prime corazzate italiane
23/03/2019 Archiviato in: LiguriaNautica
Oltre un secolo a mezzo dopo la battaglia di Lissa, Davide Ciampalini e il suo team Wse sono riusciti a scendere ad una profondità di 115 metri ed a penetrare per primi nelle stive delle corazzate italiane affondate dalla marina asburgica durante la terza guerra di Indipendenza
Il team subacqueo che si è immerso nel Re d'Italia
Al lavoro burocratico e quello organizzativo, Davide Ciampalini affianca, come abbiamo detto nella prima parte dell’articolo, una fitta ricerca d’archivio per sapere tutto quello che si può sapere sulla nave. La fregata Re d’Italia insieme alla cannoniera Palestro e ad altre 10 corazzate, “facevano parete del progetto di rinnovamento e potenziamento della Regia Marina iniziato da Cavour ancor prima dell’unità d’Italia”, racconta Ciampalini.
Inizialmente la Marina italiana era composta dalla fusione della Marina sarda, borbonica, siciliana, toscana e pontificia e possedeva soltanto vascelli in legno. Per rafforzare la flotta furono commissionate 12 nuove corazzate, navi di nuova generazione per l’epoca. Queste avevano lo scafo in legno corazzato da piastre di ferro e disponevano sia di vele che di eliche, erano armate con cannoni in bordata e grossi speroni a prua sotto la linea di galleggiamento.
La maggior parte delle unità fu costruita all’estero perché molti dei cantieri italiani ancora non erano attrezzati per costruire navi di quel tipo. Otto furono varate in Francia, tra cui la cannoniera Palestro, Il Re d’Italia, la gemella Re di Portogallo in America, l’ariete corazzato Affondatore in Inghilterra. Quest’ultima fu la prima nave ad avere i cannoni in torrette corazzate mentre il Principe di Carignano a Genova fu la prima nave corazzata ad essere costruita in Italia.
Il Re d’Italia diventò così la nave ammiraglia della flotta ed imbarcò l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano che ne assunse il comando. “Se la Francia ha la sua Gloire e se l’Inghilterra ha la sua Warrior, l’Italia ha il suo Re d’Italia”, titolava un giornale d’epoca. Giudizio un po’ troppo pretenzioso. Alla sua prima prova del fuoco, infatti, la Re d’Italia non uscirà bene dallo scontro.
Durante la terza guerra d’Indipendenza, l’Italia entrò in conflitto con l’Impero Austriaco. Dopo un’inaspettata sconfitta nella battaglia terrestre di Custoza, sulle colline veronesi, il governo italiano volle cercare un immediato riscatto sfidando il nemico in mare, schierando la sua nuovissima flotta. L’obiettivo era quello di attaccare l’isola dalmata di Lissa. Nella carta, la Marina italiana risultava essere di gran lunga superiore a quella austriaca sia come numero di unità corazzate che come potenza di fuoco.
Lo scontro avvenne nelle acquea antistanti l’isola di Lissa e sarà la prima battaglia navale tra navi corazzate della storia e anche l’ultima in cui vengono effettuate manovre volontarie di speronamento. Ne conseguì una mischia furibonda e confusa in cui gigantesche navi da guerra cercarono di speronarsi l’una con l’altra. La dinamica dello scontro navale, la potete leggere in questo mio articolo precedente su LiguriaNautica.
I giornali d’epoca descrivono l’affondamento della Palestro sottolineando l’eroismo del suo comandante Alfredo Cappellini
Il Re d’Italia venne speronato al fianco sinistro dalla panzerfregatte Erzherzog Ferdinand Max, sulla quale era imbarcato l’ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegethoff. La cannoniera Palestro esplose in seguito ad un incendio che raggiunge la santabarbara, dove erano custoditi i materiali esplosivi. Nella battaglia persero la vita oltre 600 uomini. Per lo più, erano marinai delle due corazzate affondate. I due relitti non sono soltanto i resti di due navi corazzate ma sono la tomba di molti uomini che hanno combattuto e perso la vita.
Ma torniamo alla missione, come avete organizzato la logistica e le immersioni?
“Come base operativa -spiega Ciampalini– il nostro amico Veljano ci mise a disposizione tutto il suo diving, una struttura molto comoda e ampia. Al nostro arrivo scaricammo le automobili stracolme di attrezzature invadendo il diving. Oltre alla molta attrezzatura di bail-out ci portammo anche il necessario per pedagnare i relitti perché, non essendo classiche mete turistiche, andava fatto direttamente durante le immersioni”.
La squadra era così composta: Davide Ciampalini pSCR Tres Presidentes, Matteo Ratto pSCR Tres Presidentes, Alessio Pollice ECCR Hammerhaed, Rolando di Giorgio ECCR Hammerhaed, Massimo Barnini Open Circuit, Daniele Lucaccini Open Circuit.
Ci dai qualche notizia tecnica sulle miscele che avete adoperato e sulla decompressione?
“Avevamo pianificato -ricorda Davide- circa 30/35min di fondo per noi con i reb, mentre Massimo e Daniele, visto che scendevano in aperto, un pochino meno. Io e Matteo con il pSCR avevamo 5 stage a testa, 4 s80 e 1 s40 più il frame con gli 8,5 lt carico di mix di fondo, scooter, telecamere e luci video. Massimo e Daniele anche loro configurati con 5 stage, bibo 20+20 e scooter, Alessio e Rolando con i loro ECCR 5 stage, scooter e telecamere”.
“Le procedure di decompressione -prosegue Ciampalini- sono state calcolate per tuttiutilizzando il nostro sistema mnemonico UTRtek adattandolo alle 3 configurazioni. Cosa curiosa, 6 subacquei enemmeno un computer subacqueo, neppure in tasca come scorta! In barca oltre a Veljano c’erano assistenti di superficie e subacquei pronti ad intervenire in caso di necessità con bombole di bail-out”.
“La sera prima dell’immersone sul Re d’Italia -conclude Davide- dopo aver preparato e controllato tutte le attrezzature con molta cura, riunimmo tutto il team per il consueto briefing, decidendo il piano per l’immersione e la gestione delle emergenze. Non so se fosse lo stesso anche per i miei compagni ma dentro di me l’emozione cresceva di ora in ora e la tensione era alle stelle, ormai eravamo lì, il momento tanto atteso stava per arrivare, l’indomani sarebbe stato il grande giorno”.
La conclusione della missione nella prossima rubrica.
Il team subacqueo che si è immerso nel Re d'Italia
Al lavoro burocratico e quello organizzativo, Davide Ciampalini affianca, come abbiamo detto nella prima parte dell’articolo, una fitta ricerca d’archivio per sapere tutto quello che si può sapere sulla nave. La fregata Re d’Italia insieme alla cannoniera Palestro e ad altre 10 corazzate, “facevano parete del progetto di rinnovamento e potenziamento della Regia Marina iniziato da Cavour ancor prima dell’unità d’Italia”, racconta Ciampalini.
Inizialmente la Marina italiana era composta dalla fusione della Marina sarda, borbonica, siciliana, toscana e pontificia e possedeva soltanto vascelli in legno. Per rafforzare la flotta furono commissionate 12 nuove corazzate, navi di nuova generazione per l’epoca. Queste avevano lo scafo in legno corazzato da piastre di ferro e disponevano sia di vele che di eliche, erano armate con cannoni in bordata e grossi speroni a prua sotto la linea di galleggiamento.
La maggior parte delle unità fu costruita all’estero perché molti dei cantieri italiani ancora non erano attrezzati per costruire navi di quel tipo. Otto furono varate in Francia, tra cui la cannoniera Palestro, Il Re d’Italia, la gemella Re di Portogallo in America, l’ariete corazzato Affondatore in Inghilterra. Quest’ultima fu la prima nave ad avere i cannoni in torrette corazzate mentre il Principe di Carignano a Genova fu la prima nave corazzata ad essere costruita in Italia.
Il Re d’Italia diventò così la nave ammiraglia della flotta ed imbarcò l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano che ne assunse il comando. “Se la Francia ha la sua Gloire e se l’Inghilterra ha la sua Warrior, l’Italia ha il suo Re d’Italia”, titolava un giornale d’epoca. Giudizio un po’ troppo pretenzioso. Alla sua prima prova del fuoco, infatti, la Re d’Italia non uscirà bene dallo scontro.
Durante la terza guerra d’Indipendenza, l’Italia entrò in conflitto con l’Impero Austriaco. Dopo un’inaspettata sconfitta nella battaglia terrestre di Custoza, sulle colline veronesi, il governo italiano volle cercare un immediato riscatto sfidando il nemico in mare, schierando la sua nuovissima flotta. L’obiettivo era quello di attaccare l’isola dalmata di Lissa. Nella carta, la Marina italiana risultava essere di gran lunga superiore a quella austriaca sia come numero di unità corazzate che come potenza di fuoco.
Lo scontro avvenne nelle acquea antistanti l’isola di Lissa e sarà la prima battaglia navale tra navi corazzate della storia e anche l’ultima in cui vengono effettuate manovre volontarie di speronamento. Ne conseguì una mischia furibonda e confusa in cui gigantesche navi da guerra cercarono di speronarsi l’una con l’altra. La dinamica dello scontro navale, la potete leggere in questo mio articolo precedente su LiguriaNautica.
I giornali d’epoca descrivono l’affondamento della Palestro sottolineando l’eroismo del suo comandante Alfredo Cappellini
Il Re d’Italia venne speronato al fianco sinistro dalla panzerfregatte Erzherzog Ferdinand Max, sulla quale era imbarcato l’ammiraglio austriaco Wilhelm von Tegethoff. La cannoniera Palestro esplose in seguito ad un incendio che raggiunge la santabarbara, dove erano custoditi i materiali esplosivi. Nella battaglia persero la vita oltre 600 uomini. Per lo più, erano marinai delle due corazzate affondate. I due relitti non sono soltanto i resti di due navi corazzate ma sono la tomba di molti uomini che hanno combattuto e perso la vita.
Ma torniamo alla missione, come avete organizzato la logistica e le immersioni?
“Come base operativa -spiega Ciampalini– il nostro amico Veljano ci mise a disposizione tutto il suo diving, una struttura molto comoda e ampia. Al nostro arrivo scaricammo le automobili stracolme di attrezzature invadendo il diving. Oltre alla molta attrezzatura di bail-out ci portammo anche il necessario per pedagnare i relitti perché, non essendo classiche mete turistiche, andava fatto direttamente durante le immersioni”.
La squadra era così composta: Davide Ciampalini pSCR Tres Presidentes, Matteo Ratto pSCR Tres Presidentes, Alessio Pollice ECCR Hammerhaed, Rolando di Giorgio ECCR Hammerhaed, Massimo Barnini Open Circuit, Daniele Lucaccini Open Circuit.
Ci dai qualche notizia tecnica sulle miscele che avete adoperato e sulla decompressione?
“Avevamo pianificato -ricorda Davide- circa 30/35min di fondo per noi con i reb, mentre Massimo e Daniele, visto che scendevano in aperto, un pochino meno. Io e Matteo con il pSCR avevamo 5 stage a testa, 4 s80 e 1 s40 più il frame con gli 8,5 lt carico di mix di fondo, scooter, telecamere e luci video. Massimo e Daniele anche loro configurati con 5 stage, bibo 20+20 e scooter, Alessio e Rolando con i loro ECCR 5 stage, scooter e telecamere”.
“Le procedure di decompressione -prosegue Ciampalini- sono state calcolate per tuttiutilizzando il nostro sistema mnemonico UTRtek adattandolo alle 3 configurazioni. Cosa curiosa, 6 subacquei enemmeno un computer subacqueo, neppure in tasca come scorta! In barca oltre a Veljano c’erano assistenti di superficie e subacquei pronti ad intervenire in caso di necessità con bombole di bail-out”.
“La sera prima dell’immersone sul Re d’Italia -conclude Davide- dopo aver preparato e controllato tutte le attrezzature con molta cura, riunimmo tutto il team per il consueto briefing, decidendo il piano per l’immersione e la gestione delle emergenze. Non so se fosse lo stesso anche per i miei compagni ma dentro di me l’emozione cresceva di ora in ora e la tensione era alle stelle, ormai eravamo lì, il momento tanto atteso stava per arrivare, l’indomani sarebbe stato il grande giorno”.
La conclusione della missione nella prossima rubrica.